Il piano regolatore del 1964
La collaborazione tra la libera Università (retta da Carlo Bo) e la Città (governata da un Sindaco e una Giunta illuminata) portò, nel 1958, al conferimento a Giancarlo De Carlo della redazione del nuovo Piano Regolatore. L’architetto era stato chiamato a Urbino nel 1952 da Carlo Bo per ristrutturare la vecchia sede dell’Università: alla modernizzazione dell’istruzione accademica, il rettore voleva corrispondesse una adeguata qualità degli spazi e ben presto si pose il problema anche del loro ampliamento. Cominciò allora quella che De Carlo, cinquant’anni dopo, chiamò la lunga storia con Urbino. Aveva appena cominciato a lavorare per l’Università, quando fu eletto Sindaco Egidio Mascioli, un ex minatore che comprese subito quanto lo sviluppo delle strutture culturali e residenziali universitarie voluto da Carlo Bo fosse importante per risollevare le sorti del piccolo cento affidato al suo governo: una città dall’economia in crisi, isolata dl mondo, ricca solo del suo glorioso passato, e anche questo in rovina. Su Egidio Mascioli De Carlo si espresse così molti anni dopo: “uomo di grande cultura reale e di straordinaria sesibilità umana e politica…andava perfettamente d’accordo con Carlo Bo…si intendevano fra loro con poche parole.Il Rettore Bo, intellettuale tra i più raffinati, e il Sindaco Mascioli, ex minatore e politico concreto (ma sognante) sono stato l’energia di Urbino dal dopoguerra fino agli anni settanta…” A sostenere il Sindaco nella decisione di affidare a De Carlo l’incarico di redigere il Piano fu determinante la presenza, nella sua Giunta, di Livio Sichirollo, un professore universitario che aveva deciso di ritagliare nella sua vita da studioso tempi per la politica attiva. Determinante non solo nella scelta fatta dal Comune di legare il destino della città alla realtà universitaria, ma anche per aver portato, con l’organizzazione di convegni e pubblicazioni sui centri storici e sulle ragioni del Piano, i problemi di Urbino all’attenzione degli uomini di cultura e dei politici, facendo della città un caso nazionale. Il futuro di Urbino che viene delineato nel Piano è quello di una “capitale degli studi e della cultura”. L’accorto tra Città ed Università si esprime nella previsione che le facoltà siano distribuite nei grandi palazzi storici in rovina e che gli alloggi per gli studenti siano costruiti nell’area di nuova espansione; prende così corpo l’idea di una scuola aperta alla vita sociale, fisicamente inserita nel tessuto cittadino. La progettazione di De Carlo si distingue per il nuovo procedimento adottato nella definizione dei modi di intervento: all’applicazione dei noti metodi generali si sostituisce una lettura dei luoghi che permette di indagarne la complessità e di affrontare ogni intervento come “un caso particolare”. Così spazi significativi del tessuto urbano possono essere recuperati ai nuovi usi della città contemporanea senza cancellare i segni del passato. Il Piano incontrò molti ostacoli prima di essere approvato, sia da parte del Consiglio comunale che da parte degli organi regionali e nazionali che dovevano approvarne le decisioni. Adottato dal Consiglio all’unanimità nel 1964, continuerà ad essere osteggiato dal Ministero. Divenne strumento regolativo con validità legislativa solo nel 1974. E’ stato invece ben presto pubblicato (Urbino. La storia di una città e il piano della sua evoluzione urbanistica, Marsilio, Padova 1966) e ha riscosso interesse e apprezzamento a livello internazionale.
Il Piano regolatore del 1994
Nei trent’anni che dividono il PRG del ’94 da quello del ’64, l’architetto De Carlo, pur continuando a lavorare per l’università, interrompe per un lungo periodo (1980-1989) i rapporti professionali con l’Amministrazione comunale (che affida la pianificazione urbanistica prima a Aymonino e poi a Benevolo). Rincomincia a lavorare su Urbino dopo che nell’89 gli viene conferita la cittadinanza onoraria e insieme, l’incarico per il nuovo Piano.
Come affermerà più tardi riflettendo sulla sua nuova esperienza, la lettura del territorio cambiò direzione. “…al contrario…di quanto era stato fatto col Piano del 1964 quando l’urgenza era preservare l’integrità della città e perciò si era partiti dal centro storico”, il Piano è partito “dall’altro polo della corrispondenza, …anche se si è continuato a spostare il punto di vista da un polo all’altro…”. L’urbanista era arrivato dopo trent’anni alla conclusione che “il territorio è tutto…contiene centro storico, città, periferia, campagna, borghi, panorami, paesaggi, case sparse, filari, e macchie d’alberi, canali, argini, tracciati ferroviari, strade, linee elettriche, scie lasciate dagli aerei quando passano nel cielo…”, e che “bisogna comprendere l’insieme delle sue componenti per essere capaci di capire e di progettare non solo il territorio ma ciascuna di queste componenti nella sua singolarità”. Nel nuovo Piano regolatore la progettazione investe la periferia, costruita oltre che dall’immediato sviluppo urbano e dai centri abitati limitrofi, anche dalle frazioni sparse nel territorio e dalle campagne ricche di antichi casali, di torri di avvistamento e di pievi, di un sistema di vecchi percorsi di collegamento non più in uso. Il territorio viene suddiviso in parchi, ognuno dei quali ha una propria connotazione specifica. Nuova l’idea di parco: “il parco nella tradizione urbanistica recente è considerato un luogo dove non si può far niente e la gente che possiede dei terreni o vorrebbe possederli è terrorizzata dall’idea che possano essere bloccati a parco…la destinazione a parco può dare vantaggi che non sarebbero mai esistiti con altri vincoli”. Il parco diventa un luogo “dove non è vietata qualsiasi cosa ma invece è consentito solo quello che si considera appropriato e caratterizzante; o, in altre parole è consentito quanto gli attribuisce un ruolo attivo che lo rende partecipe del processo di sviluppo dell’intero territorio”. Il Piano propone anche di ripristinare quella rete stradale minuta, importante componente del paesaggio, che era stata trascurata pensando ai grandi interventi viari, e di ripristinare il trasporto pubblico ferroviario recuperando la rete ferroviaria non ancora smantellata (mettendo in funzione, in attesa che venisse completata, gli spezzoni della rete esistente utilizzando veicoli che possano andare su rotaie e su strada). Alla nuova Stazine sarebbe arrivata, dalle vallate del Metauro e del Foglia, una metropolitana leggera e da lì sarebbe partita una linea urbana a crimagliera che permetteva, con un percorso panoramico, di raggiungere il Mercatale. Ma la città, anche se prevale l’idea di una città diffusa che si estende per insediamenti integrati, resta il centro propulsore, l’origine di ogni forma e organizzazione che il territorio assumerà nel futuro. All’interno del Piano del ’94 infatti assume grande rilievo la riprogettazione del Mercatale, e il recupero della Data che ne è parte integrante. Liberando il Mercatale dal parcheggio in superficie di auto e corriere e programmando per le antiche scuderie ducali una funzione pubblica adeguata alla sua prestigiosa posizione (vedi Progetto Osservatorio), il nuovo Piano si ripropone di restituire alla zona monumentale della città la vocazione originaria di luogo di incontro, attrazione, accoglienza.